FOTOGRAFIA AMERICANA

Eve Arnold

“Sono stata povera e ho voluto documentare la povertà; ho perso un figlio e sono stata ossessionata dalle nascite; mi interessava la politica e ho voluto scoprire come influiva sulle nostre vite; sono una donna e volevo sapere delle altre donne”

Eve Arnold è stata la prima donna ad entrare nell’agenzia Magnum Photos in qualità di fotografa.

Durante tutta la sua carriera Eve Arnold alterna reportage di impatto sociale, come il razzismo negli USA, a ritratti delle star, come Marilyn Monroe e Joan Crawford .

Documenta per tre mesi la vita quotidiana degli italoamericani di Hoboken, in New Jersey.

 A Washington D.C. fotografa Thurgood Marshall, consigliere della NAACP.

Ritrae la vita dei neri afroamericani all’alba dell’era dei diritti civili: fotografa una festa in Virginia dove studenti bianchi e afroamericani vengono coinvolti in attività di integrazione; sempre in Virginia cattura con i suoi scatti gli studenti afro americani che si allenano nelle tecniche di resistenza passiva per i sit-ins scolastici.

Anche di fronte alle tematiche più complesse, Eve Arnold riesce sempre ad evitare gli stereotipi, avvicinandosi a culture e persone differenti con genuina curiosità, con il solo intento di conoscere, capire e raccontare.


Indice:

  • Fashion Show in Harlem
  • Malcolm X
  • La famiglia Davis e i raccoglitori di patate
  • La Borghesia Nera
  • Black is Beautiful
  • Vietnam in North Carolina
  • Gli Stati Uniti 1981-1982


Eve Arnold inizia ad interessarsi alla fotografia in età adulta, quando è già madre e moglie.

Vive con la sua famiglia a New York quando decide di frequentare il corso di fotografia tenuto da Alexey Brodovitch, celebre direttore artistico della rivista “Harper’s Bazaar”.

Il corso è breve, solo sei settimane, ma il piano di lavoro è intenso e il maestro pretende dai suoi studenti che ogni settimana arrivino a lezione con un reportage fotografico su un tema da lui indicato di volta in volta.

Il primo compito prevede che documentino la relazione tra il mondo della moda e la città di New York.

Un ritratto di Eve Arnold. Foto scattata alla mostra ‘Eve Arnold: 1950-1980’ a Camera, Torino

Fashion Show in Harlem

A Eve questo tema non appassiona affatto, così, mentre si sfoga a riguardo con la sua tata, questa le consiglia di andare a fare ricerca tra i fashion show e le sfilate di moda che si tengono quasi ogni sera ad Harlem, quartiere a maggioranza afroamericana, nella quasi totale indifferenza del mondo della moda bianca.

Nel 1950 anche una città cosmopolita come New York City è segregata e se un bianco si avventurava verso nord, è solo, eventualmente, per la vita notturna nei club.

Ad Eve si apre un mondo completamente sconosciuto.

Si reca all’evento in metropolitana per cercare di catturare l’atmosfera mano a mano che si avvicina.

Quando Arnold arriva, il pubblico, interamente nero, si stupisce nel vederla, ma quando tira fuori la sua macchina fotografica, tutti iniziano a sorridere e a mettersi in posa.

Modelle, fashion designers, sarti e hair-stylist afroamericani qui, quasi ogni sera, mettono in scena il loro talento.

Le sfilate non hanno certo sponsor: sono tutte organizzate e prodotte da loro. 

Emerge, tra altri, la figura di Charlotte Stribling, una modella conosciuta con il nome di ‘Fabolous’ che, come ricorda Eve, “aveva le movenze di un felino: un leopardo o forse una tigre” ed era dotata di un’incredibile e moderno senso della propria immagine.

Per più di un anno, nei weekends, Eve fotografa modelle e stilisti in quello che lei chiama “recording social history”.

Ne esce fuori un reportage nuovo, disruptive e per quegli anni esotico.

Il suo maestro ne tesse le lodi, ma nessuna rivista statunitense è disposta a pubblicarlo.

Siamo nel 1950: mancano ancora 14 anni alla firma del Civil Rights Act.

Il marito di Eve però è convinto che questi scatti non possano rimanere chiusi in un cassetto.

Decide di mandarli a Londra dove lui aveva vissuto e studiato presso la Central Saint Martins, la, ancora oggi, celebre scuola di moda.

Qui, finalmente, il ‘Picture Post’ decide di pubblicare il servizio.

Per Eve è la svolta: la sua carriera decolla.

Ma quando riceve una copia della rivista, realizza con sgomento che l’articolo a margine riporta idee e concetti non in linea con il suo modo di pensare e con la filosofia del suo progetto.

Da quella prima esperienza dolce amara decide che, in futuro, avrebbe sempre accompagnato tutti i suoi scatti con una didascalia scritta di suo pugno.

Il servizio sui Fashion Show in Harlem pubblicato sul ‘Picture Post’. In foto una copia originale della rivista del 1950. Foto scattata alla mostra ‘Eve Arnold: 1950-1980’ a Camera, Torino
Un estratto dell’articolo che accompagna il servizio fotografico. Si parla di come ad Harlem il senso dello stile e dell’estetica sia particolarmente spiccato a faccia parte della cultura di ciascuno di loro a prescindere dallo status sociale dal momento che il gap economico tra le classi sociali ad Harlem è enorme ed è lo stesso che si può respirare in tutta l’America.
Nella foto accanto la didascalia descrive ‘una modella di colore che vuole imitare le donne bianche’
Foto scattata alla mostra ‘Eve Arnold: 1950-1980’ a Camera, Torino
Il servizio sui Fashion Show in Harlem pubblicato sul ‘Picture Post’. In foto una copia originale della rivista del 1950. Foto scattata alla mostra ‘Eve Arnold: 1950-1980’ a Camera, Torino
Il servizio sui Fashion Show in Harlem pubblicato sul ‘Picture Post’. In foto una copia originale della rivista del 1950. Foto scattata alla mostra ‘Eve Arnold: 1950-1980’ a Camera, Torino
Charlotte Stribling, alias ‘Fabulous‘, posa in un night club indossando abiti prodotti ad Harlem. New York City, Harlem 1950. Foto scattata alla mostra ‘Eve Arnold: 1950-1980’ a Camera, Torino
Charlotte Stribling, alias ‘Fabulousin attesa di sfilare si rilassa presso la Abyssinian Church. New York City, Harlem 1950. Foto scattata alla mostra ‘Eve Arnold: 1950-1980’ a Camera, Torino
Charlotte Stribling, alias ‘Fabulous‘ mentre attende di uscire in passerella nella Abyssinian Baptist Church. Gli abiti che indossa sono progettati e realizzati dalla comunità di Harlem. New York City, Harlem 1950. Foto scattata alla mostra ‘Eve Arnold: 1950-1980’ a Camera, Torino
Charlotte Stribling, alias ‘Fabulous mentre attende di uscire in passerella nella Abyssinian Baptist Church. New York City, Harlem 1950. Foto scattata alla mostra ‘Eve Arnold: 1950-1980’ a Camera, Torino

Malcolm X

Malcolm X diventa, all’inizio degli anni Sessanta, leader dei Black Muslim, un movimento fondamentalista che rivendica la superiorità dei neri musulmani sulla popolazione bianca. 

Tra il 1961 e il 1962 Eve Arnold riceve da ‘Life’ il compito di un servizio su Malcolm X e i Black Muslim (che poi, però, rifiuta di pubblicare; le immagini usciranno solo nel 1963 su ‘Esquire’ e, successivamente, su diverse altre testate internazionali).

Dopo numerosi tentativi, Arnold riesce, nel 1961, a intrufolarsi a un convegno nazionale a Washington D.C. e scatta alcune fotografie mentre il leader è sul palco che parla animatamente. Sono presenti anche gli esponenti dell’ American Nazy Party, con il quale i neri musulmani hanno stretto un controverso accordo per suddividersi l’America.

Decide di pagare come intermediario un giornalista, Louis Lomax, con l’obiettivo di essere presentata a Malcolm X. 

Quando lo conosce, Malcolm X ha 35 anni, uno zio linciato, un padre ucciso dai suprematisti bianchi e una madre è ricoverata in una clinica per la salute mentale.

Trascorre gran parte della sua gioventù ad entrare ed uscire di prigione.

E’ proprio il carcere a fargli conosce la Nation Of Islam.

In disaccordo con il Movimento per i Diritti Civili che cerca l’integrazione, i Black Muslim professano la superiorità nera e si fanno promotori di un intervento di separazione tra neri e bianchi in tutta America.

Quelli erano proprio gli anni in cui stavano cercando un territorio da poter comprare al Governo americano in cui tutti i neri, ed esclusivamente loro, potessero andare a vivere. 

Sono dotati di un corpo paramilitare, The Fruit of Islam, ovvero truppe di Black Muslim a cui viene insegnato ad uccidere a mani nude.

Fra Eve e Malcolm si instaura un forte rapporto e per 18 mesi lui le permette di partecipare ai convegni della Nation of Islam.

La invito a Chicago dove è in corso un boicottaggio organizzato dai Black Muslim nei confronti delle attività commerciali: ogni mattina Malcolm si preoccupa di mandare una scorta a prenderla in hotel per proteggerla da eventuali ritorsioni.

Eve rimane per due settimane e, nel corso di queste, fotografa un raduno di 6000 persone all’International Amphitheater di Chicago che vede seduto in prima fila George Lincoln Rockwell, capo dell’American Nazi Party, insieme ai suoi fedeli, tutti e tre a braccia incrociate mentre indossano divise militari con la svastica sul braccio.

Improbabili alleati, i membri dell’American Nazy Party e i Black Muslim condividono un sogno: un’America divisa in due, abitata a ovest dai Black Muslim e a est dai seguaci del partito nazista americano.

Il ritratto più noto di Malcolm X è stato scattato da Eve Arnold a Chicago, Illinois nel 1961. Foto scattata alla mostra ‘Eve Arnold: 1950-1980’ a Camera, Torino.
Malcolm X visita una pasticceria, una delle tante imprese di proprietà dei Black Muslim; Chicago, Illinois, 1961. Foto scattata alla mostra ‘Eve Arnold: 1950-1980’ a Camera, Torino.
Malcolm X al raduno dei Black Muslim a Washington D.C. nel 1961.Foto scattata alla mostra ‘Eve Arnold: 1950-1980’ a Camera, Torino.
Incontro della Nation of Islam a Washington D.C. nel 1961. Foto scattata alla mostra ‘Eve Arnold: 1950-1980’ a Camera, Torino.
Black Muslim. Tre paia di mani. Da sinistra a destra: un nazista americano bianco, un membro nero della comunità musulmana, un questuante. Washington D.C. 1961. Dai ricordi Eve: “quando alzai la macchina fotografica per immortalare Rockwell e i suoi uomini, mi sibilò ‘farò di te una saponetta’ gli risposi sibilando a mia volta ‘purchè non sia un paralume’. Foto scattata alla mostra ‘Eve Arnold: 1950-1980’ a Camera, Torino.
Incontro dei Black Muslim a Washington D.C. 1961. Oltre a ritrarre uomini politici, Arnold si concentra anche sulle loro mogli, a cui attribuisce un ruolo centrale nella costruzione del personaggio dei mariti.
Foto scattata alla mostra
‘Eve Arnold: 1950-1980’ a Camera, Torino.

La famiglia Davis e i raccoglitori di patate

Dal 1951 Eve e la sua famiglia iniziano a passare le estati a Brookhaven Township nel North Shore di Long Island dove Eve realizza che questa tranquilla enclave rurale è in realtà una risorsa molta ricca di storie.

Inizia quello che sarebbe poi diventato un progetto di dieci anni incentrato su una sola famiglia, quella dei Davis, le cui origini risalgono al 1710: “American Gothic faces, the same family on the same land for almost two and a half century” commenta Arnold.

Discendenti dei primi coloni, frequentatori della Chiesa e rispettabili membri della comunità, i Davis sono anche proprietari di immense piantagioni di patate, dove sfruttano i lavoratori migranti, costringendoli a condizioni di vita inaccettabili.

Li fotografa in tribunale, in libreria, ai clambakes (pic-nic sulla spiaggia in cui si mangiano frutti di mare o molluschi), agli incontri delle Daughters of the American Revolution. In una fotografia in particolare sono ritratti mentre fanno pranzo tutti insieme proprio accanto alle tombe dei loro antenati. 

Suo marito le suggerisce di fotografare anche i migranti che tutte le estati lavorano nei cambi dei Davis. Raccolgono fragole o patate mentre vivono in capanne sovraffolate, sgangherate e sporche.

Eve passa diversi giorni insieme a loro cercando di catturare le loro fatiche quotidiane: “I have never been as shocked as when I entered the one-room shacks with the old iron bedsteads and thin pads, with one shaded bulb, in which as many as eight to ten people sleep…no toilets facilities, no water, it’s below the lowest possible standard of 30 or 40 years ago, let alone today’s standards”.

“Fra gli scatti realizzati da Arnold è particolarmente significativo il ritratto di una bambina, appoggiata a un jukebox. La brillantezza dell’oggetto, simbolo della ricchezza americana, emerge grazie alla vicinanza con la sua pelle nerissima. Il contrasto dell’immagine diventa una metafora dell’esistenza stessa dei lavoratori migranti: invisibili nell’accecante bagliore del sogno americano”. Testo e foto dalla mostra ‘Eve Arnold: 1950-1980’ a Camera, Torino.
Sopra: la famiglia Davis consuma il pasto vicino alle tombe dei suoi antenati. Sotto: taglio delle mele e preparazione della torta per la cena. New York, Long Island, Miller Place 1958. Foto scattata alla mostra ‘Eve Arnold: 1950-1980’ a Camera, Torino.
Vita dei migranti raccoglitori di patate. New York, Long Island 1951. Foto scattata alla mostra ‘Eve Arnold: 1950-1980’ a Camera, Torino.

La Borghesia Nera

In tutti gli Stati Uniti, a partire dagli anni 50, gli afro-americani iniziano a rivendicare con forza il riconoscimento dei propri diritti civili, tema a cui Arnold è particolarmente sensibile. Con lo stesso intento di abbattere cliché e pregiudizi, già adottato per il servizio sui Fashion Show in Harlem, nel 1964 realizza per ‘The Sunday Times Magazine’ un servizio intitolato The Black Bourgeoisie dove racconta il ballo delle debuttanti all’Hotel Waldorf Astoria ritraendo eleganti uomini d’affari neri e signore ingioiellate afroamericane.

Un copia del ‘Sunday Times Magazine’ dove è stato pubblicato il servizio di Eve Arnold. 1964. L’articolo parla di come un certo tipo di abbigliamento fatto di stole di pelliccia, guanti bianchi e completi da uomo non siano solo uno status symbol, ma rappresentino il profondo cambiamento che sta avvenendo all’interno della società afroamericana e contemporaneamente americana. Un estratto del trafiletto: “The Negro middle class is expanding and turning respectable. They want what other Americans want: money, status, good education and good home. Negroes now form one tenth of the population of the USA. Most of their middle class still wins social standing only within the Negro community, but more and more, like John Bandy (nella foto a destra), who is Vice President of a Philadelphia radio, are getting to the top in the white community and not, as once, in spite of their color, but because of it…Even fot the fortunate, however, there are problems: not least that many are used by the whites as ‘tokens’ of integration, and hated by their own kind because of it”. Foto scattata alla mostra ‘Eve Arnold: 1950-1980’ a Camera, Torino.
Il galà per le debuttanti nere tenutosi all’Hotel Waldorf Astoria negli stessi anni in cui il Movimento lotta per il riconoscimento dei propri diritti civili. I proventi del ballo sono destinati a sostenere cause egualitarie. New York City 1964. Foto scattata alla mostra ‘Eve Arnold: 1950-1980’ a Camera, Torino.
Al Garden Party di Count Basie in St. Albans. New York City 1968. Foto scattata alla mostra ‘Eve Arnold: 1950-1980’ a Camera, Torino.
Black Aristocracy, USA 1964. Foto scattata alla mostra ‘Eve Arnold: 1950-1980’ a Camera, Torino.
Black Aristocracy, USA 1964. Foto scattata alla mostra ‘Eve Arnold: 1950-1980’ a Camera, Torino.

Black is Beautiful

Ancora più iconico è il servizio intitolato Black is Beautiful, del 1968, che testimonia l’emergere di un forte orgoglio identitario afroamericano. Il titolo è ripreso dal motto urlato da James Brown durante i suoi concerti.

Il suo forte valore politico viene rappresentato soprattutto dagli scatti che ritraggono Cicely Tyson. Nel 1961, infatti, l’attrice e modella era comparsa in televisione con i capelli al naturale, facendo dilagare la moda dello stile afro in tutta la comunità, a dimostrazione di quanto la parità dei diritti e l’inclusione passino anche attraverso la ridefinizione degli standard di bellezza.

Copia del ‘Sunday Times Magazine’ uscito il 7 giugno 1968.Nelle foto la modella Cicely Tyson. Dal trafiletto: “Ci sono due advertisements sul bus con cui abbiamo attraversato Harlem. Uno recita ‘Black is Beautiful’ ed è per una lozione per capelli. L’altro cita ‘Scotch can be beautiful’. Entrambi erano stati inseriti da grandi aziende capitanate da persone bianche per vendere beni a persone nere. Poco lontano un piccolo negozio riportava l’insegna ‘Buy Black’ per vendere a persone nere. Nere. Non ‘negre’. Non ‘di colore’. Un po’ di tempo fa ‘nero’ era la parola da non dire, le persone educate dicevano ‘negro’ o ‘uomo di colore’. Ora ‘negro’ e ‘di colore’ sono le parole da non dire. Gli americani di origine africana sono neri; loro si chiamano così e ne sono orgogliosi. ‘Black is Beautiful’ dicono”. Foto scattata alla mostra ‘Eve Arnold: 1950-1980’ a Camera, Torino.
Una modella e la celebrazione dell’orgoglio afro. New York, Harlem 1968. Foto scattata alla mostra ‘Eve Arnold: 1950-1980’ a Camera, Torino.
Cicely Tyson, attrice e modella che ha lanciato l’acconciatura afro, viene vestita per una festa. Foto scattata alla mostra ‘Eve Arnold: 1950-1980’ a Camera, Torino.
Il cantante afroamericano James Brown durante un’intervista in seguito a un suo concerto all’Apollo Theater in cui è stato lanciato lo slogan ‘Black is Beautiful’. New York City 1968. Foto scattata alla mostra ‘Eve Arnold: 1950-1980’ a Camera, Torino.
Una modella e la celebrazione dell’orgoglio afro. New York, Harlem 1968. Foto scattata alla mostra ‘Eve Arnold: 1950-1980’ a Camera, Torino.

Vietnam in North Carolina

Nel 1966 realizza uno dei servizi più interessanti dedicati alla guerra del Vietnam fotografando un villaggio vietnamita completamente ricostruito nel North Carolina per le esercitazioni dei Marines. Realtà e finzione si mescolano in immagini paradossali, dove il tempo sembra sospeso e la tragedia della guerra viene innaturalmente messa in posa.

Copia del ‘Sunday Times Magazine’ del 1968 su cui è uscito il servizio, Foto scattata alla mostra ‘Eve Arnold: 1950-1980’ a Camera, Torino.

Gli Stati Uniti 1981-1982

Dopo vent’anni trascorsi in Gran Bretagna, Eve, all’inizio degli anni Ottanta torna in America.

Tra il 1981 e il 1982 trascorre due anni fotografando in 9 regioni e percorrendo 36 stati per raccontare la società americana in tutte le sue sfaccettature. Ritrae una società ormai radicalmente cambiata rispetto a quella che aveva raccontato trent’anni prima. I problemi sociali e politici sono diversi rispetto a vent’anni prima, ma di non di minore rilevanza. L’epidemia dell’AIDS, i senzatetto, i pignoramenti delle case e una desolazione di fonda la porta a decidere di non scattare in bianco e nero come aveva pensato inizialmente, ma utilizzando il colore.

Inizia il suo viaggio nel South West dove visita la Navajo Nation e le viene permesso di assistere (ma non di fotografare) a una all-night peyote ceremony. Continua il suo percorso immortalando strippers, minatori, muratori, prigionieri, cori di chiesa, shopping malls.

L’esperienza più terribile fu quando visitò in Texas il compound del Ku Klux Klan e ascoltò con orrore il sermone pieno di odio dell’Imperial Wizard.

Scrive nell’introduzione del libro:

“Through the lives of ordinary people I sought to show my America and found that the ordinary does not exist; each person’s ordinary story emerges as extraordinary. I have try to tell it all in pictures and in words with the dignity and respect it deserves”.

Copia del libro ‘In America‘. Foto scattata alla mostra ‘Eve Arnold: 1950-1980’ a Camera, Torino.
Klansman. Texas, Pasadena 1981. Foto scattata alla mostra ‘Eve Arnold: 1950-1980’ a Camera, Torino.

Fonti:

  • Foto e testi dalla mostra ‘Eve Arnold 1950-1980‘ Camera, Torino
  • Foto e testi dal libro ‘Eve Arnold – Magnum Legacy: lives behind photographs